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L'antilope punita

| Marina Greco | Antologie Saveriane Commentate


L'antilope punita
Favola dei Lega

Ripropongo qui la sesta favola della raccolta di Lino Ballarin sx "La figlia del sole e altre favole africane”, pubblicata nel 1979 dalla Editrice Missionaria Italiana. Segue una possibile pista di  lettura.

Quell'anno ci fu una grande carestia nel villaggio degli animali. Fu convocata un'assemblea generale per prendere le decisioni più adatte a scongiurare la fame. Quando tutti gli animali furono riuniti, avanzò in mezzo al grande convegno un vecchio elefante stimato da tutti per la sua saggezza. Egli disse così: 
«Cari amici, non cè bisogno di molte parole per trovare un rimedio alla carestia che ci ha colpiti e che ci mette in pericolo di morire tutti di fame. Il mio consiglio è questo: voi conoscete la grande pianura che si stende ai piedi della montagna; è una terra molto fertile. Domani troviamoci tutti , liberiamo il terreno dalle erbacce e seminiamo ogni genere di semente. Fra non molto avremo da mangiare in abbondanza».
La proposta piacque e il giorno dopo tutti si trovarono all’appuntamento. Ma l'antilope, che non amava la fatica, quando tutti si misero al lavoro, si sdraiò all'ombra di una pianta e stette a guardare. Il lavoro durò una settimana e furono seminate piante e ortaggi d'ogni genere. Il terreno era davvero prodigiosamente fertile e in breve tempo la pianura fu coperta d'alberi e frutti in quantitàAllora gli animali, in buon ordine, sotto la sorveglianza del vecchio elefante, poterono raccogliere ogni giorno quanto occorreva per sfamarsi. Naturalmente lantilope venne esclusa. Doveva arrangiarsi altrove.

Ma dopo qualche giorno si dovette constatare che qualcuno entrava nei campi durante la notte e rubava i frutti migliori. Fu stabilito un turno di guardia per scoprire il ladro, e il primo incaricato della sorveglianza fu il leone. La sua forza e la sua audacia avrebbero scoraggiato qualsiasi malintenzionato!
L'antilope (era proprio lei che rubava) ricorse all'astuzia. Si avvicinò ai campi e lanciò ruggiti feroci con quanto fiato aveva in corpo. Il leone balzò in piedi terrorizzato dalla voce potente e, pensando che si trattasse dun mostro sconosciuto e terribile, se la diede a gambe. Poi di buon mattino tornò al suo posto fingendo di non avere inteso nulla. Ma fu facile constatare che un angolo della campagna anche quella notte era stato svaligiato. Fu chiesto allora di mettere un guardiano più vigile e si presentò il bufalo. Ma anche lui, terrorizzato dalle urla selvagge nella notte, fuggì. Si presentarono poi altri animali grossi e potenti, l'ippopotamo, il pitone e l'orangutan, ma tutti fallirono al loro compito e si coprirono di vergogna.
Ultima si presentò la lepre e chiese di fare la guardia. L'elefante la guardò con stupore e commiserazione, ma alla fine cedette alle insistenze dell'animaletto e lo inviò per una notte a custodire la campagna.

La lepre preparò un tranello. Prese un tronco d'albero e lo lavorò così da ridurlo press'a poco alla forma di un uomo, poi lo spalmò di vischio concentrato e particolarmente tenace. Infine piantò il fantoccio dalla parte dove iI mostro notturno era solito presentarsi, e stette ad aspettare nascosta in un cespuglio vicino.
Verso la mezzanotte l'urlo del mostro echeggiò nella valle. La lepre ebbe un brivido di paura, ma si acquattò tra l'erba, tese gli orecchi e aguzzò gli occhi per capire che cosa sarebbe successo.
L'antilope, abituata a veder fuggire i soliti guardiani, restò interdetta davanti all'audacia dell’animale che osava affrontarla senza segni di timore. Raddoppiò le urla inutilmente. Allora si avvicinò cautamente e disse sottovoce: «Chi sei tu? Facciamo un patto, tu mi lasci fare ed io ti do metà del mio bottino». Ma la statua restò muta e impassibile. L'antilope perse la pazienza e rovesciò sull'immobile guardiano un torrente di minacce e ingiurie. La statua non diede segno di paura. Alla fine l'antilope fece un balzo in avanti e sferrò un calcio potente contro lo strano guardiano, ma la sua zampa restò incollata al manichino.
«Come, - gridò allora indignata - tu credi d'imprigionare me? Aspetta e vedrai!» Così dicendo con l'altra zampa anteriore vibrò un altro calcio, ma anche la seconda zampa restò presa nel vischio; allora , puntandosi sulle zampe posteriori, abbassò la testa e sferrò un colpo come una catapulta. Così anche la testa restò incollata nella morsa vischiosa. La povera bestia cominciò a dimenarsi gemendo, ma finì per restare tutta appiccicata al tronco, con le due gambe posteriori in aria che si dimenavano nel vuoto.
Allora la lepre uscì dal suo nascondiglio,
 guardò con disprezzo la bestia imprigionata e disse:
 «Finalmente raccoglierai per l'ultima volta i frutti della tua pigrizia».


Vennero gli altri animali,
 contemplarono la ladra
 che devastava i campi delle loro fatiche e la seppellirono sotto una gragnuola di sassi.

UNA PISTA DI LETTURA
api e serpenti

"Mpimbi za kizugo uzikizye mubale kwa-kule",  tradotto in italiano dalla lingua parlata dai Lega, significa: " I battenti del campanaccio hanno fatto orientare l'antilope verso il luogo della morte (cfr. Campagnolo M., Il sistema Lega della conoscenza e dei valori, 2020).

Questo proverbio è uno dei molti della cultura Lega attorno all'antilope, e il significato fondamentale attribuito in questo contesto all'animale è l'avventatezza, determinata da mancanza di riflessività.
Il proverbio citato vuole indicare che le piccole cose possono portare grandi rovine, come il rumore del campanaccio, appeso al collo dei cani da caccia, impaurisce l'antilope a tal punto da spingerla più velocemente nella trappola preparata per lei dai cacciatori.

Nella favola di oggi, invece, l'antilope è prima di tutto simbolo di pigrizia indolente: corta d'intelletto, prendendo lucciole per lanterne - come diremmo in italiano, cioè scambiando un pupazzo per un uomo - presuntuosa e violenta, finisce molto malamente, ovvero lapidata dal popolo degli animali inferocito e vendicativo.
L'antilope della savana, come la mettiamo la mettiamo, si trova spesso nei guai: è un'avventata!

Commento e illustrazione: M. Greco.