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1887.12.30.Il Papato e l'Italia. Pensieri varii

Elaborato scolastico.
"Inseriti manoscritti in uno dei volumi offerti dalla Chiesa di Parma a Leone XIII nel 1887, questi «pensierii varii» su «Il Papato e l’Italia», devono far parte di un più ampio lavoro del Seminarista Conforti, forse scritto come esercitazione scolastica nella scuola di Storia Ecclesiastica del Seminario di Parma.
Il Vescovo Miotti, il Rettore Ferrari e il coordinatore Can. Beccali devono aver scelto solo alcuni pensieri caratteristici del giovane Conforti, anche perché da Parma e da varie parti d’Italia erano giunti similari svolgimenti inseriti poi nei primi tre volumi offerti al Papa."

Teodori, FCT 6°, 1983, 498; trascrizione alle pp. 511 - 513.

  • ID
    0018
  • Cartella
  • Data
    29 Dicembre 1887
  • Editore
    CDSR
  • Luogo
    Parma
  • Collocazione
    CSCS
  • Pagine
    4
  • Viste
    332 volte

CDSR
Centro Documentazione Saveriani - Roma

Transcrizione

...Era nella notte profonda orribile e spaventosa, che avvolgendo il Cielo tra folli nubi, e la terra di un'alta caligine ricoprendo, appena lasciava tralucere di tanto in tanto agli occhi di timidi risguardanti l'incerto e dimezzato barlume di qualche languida stella, a scoprire l'orror circostante. Una barbara civiltà regnava sovrana. Superstizione nel culto, ferocia nelle usanze, infamia ne' costumi: non pietosi e mesti affetti, non delicate aspirazioni, non ideali puri e sereni. L'Italia fatta grande tra dardi e spade, non amava che gli strepiti di Marte, non spirava che bellicosi accenti, null'altro curava che Panem et Circenses. Quando si scorse un faro: dall'arduo culmine di Laterano si fe' face e nella luce tremolante serenamente brillava la croce. Un pescatore di Galilea abbandona i lidi nativi, trapassa i mari, e viene a piantare le sue tende nel cuore d'Italia nella superba Metropoli del mondo. Vi entra inosservato ed esclama: quivi porrò la mia sede; di qui stenderò sopra dell'universo la pastoral mia verga. In vano l'Idolatrìa dominante si opporrà alle pacifiche mie conquiste; in vano il pugnale de' tiranni si stancherà a scannare i seguaci della buona novella. Mille e mille per giorno cadranno vittima del furor nemico, l'arena del Colosseo sarà ingombra d'ossa spolpate, di cranii infranti, di corpi sbranati, e tutto rosseggerà del sangue Cristiano. Ma nulla nulla! Cristo non perde mai! Un martire andrà in Cielo, e per lui cento campioni torneranno intrepidi alla lotta, e tempo verrà, che tutto avranno occupato i novelli guerrieri, la reggia il foro, il pretorio, le tribù, le decurie, il senato, gli accampamenti, un luogo solo lascieranno deserto, il tempio de' falsi Iddii.
E la parola fatidica si compì... Tre secoli di lotta sanguinosa già son trascorsi, e pel Papato si decide alfin la vittoria: l'Italia è sua conquista. La barbara civiltà pagana cade co' suoi Numi, e sui loro delubri ai puri tramonti, alle liete aurore, tra i mesti languori della luna brilla sfavillante di luce la croce di Cristo, che trionfa. Terse allora la Chiesa i nobili sudori, rassettò il suo manto di Regina ed uscita dall'oscurità, riscaldossi ai vividi raggi del nostro sole.
Che ne sarebbe stato dell'Italia, se il Papato non avesse vegliato a' suoi destini? Scendono i barbari falangi terribili, portanti sul ferro morte e ruina scendono a vindicare le antiche disfatte ed il servaggio, a rubare, a distruggere, a saziare le ingorde lor brame. I Papi gemono, gridano agl'imbelli Imperatori di Bisanzio, ma indarno: sudano a cambiare in uomini queste fiere selvaggie, a trattenere i loro impeti, a cessare le devastazioni. A quel movimento l'Italia si scuote, diventa operosa, e vinti in apparenza conquistator siam noi. Dormono le nazioni tutte i lunghi sonni nella notte della signoria feudale, noi soli sorgiamo di buon mattino coi nostri Comuni, colle nostre Repubbliche, meravigliose di fede, di ardimenti, di potere. Ed ai despoti del Nord briachi della voglia di tutto padroneggiare e signoreggiare chi porrà un freno? I Pontefici Romani hanno con essi fiera lotta e traggono i padri nostri a prender parte alla pugna gloriosa. E là a Canossa ai piedi del grande Soanese dell'imperterrito Ildebrando cadeva prostrato l'empio Arrigo, mentre alla sua destra sfolgorava Matilde, emblema della forza armata dalla fede a pro' d'una causa santa.
Ed il III Alessandro componeva la lega, e dava principio alla stupenda epopea che chiudevasi coll'inonorata disfatta del Tedesco su' campi di Legnano, la bella Maratona d'Italia. Ed allorché armati d'una rozza croce, apparvero nel lontano oriente i figli della patria nostra e dell'Europa cattolica, raccolti da un frate, benedetti da un Papa, il rossastro e maligno bagliore della mezzaluna prese ad illanguidire ed a tramontare.
Ma più belli volsero altri tempi, altre vicende. Quando qual lampo di giovinezza, al grido di fuori i barbari; Giulio espugnava città e castella a far libero l'Italico suolo. Quando arra di civiltà Leone circondavasi di Michelangelo e di Raffaello, e le arti e le lettere sorgevano a novella vita e splendore. Quando il verde vessillo di Maometto brillando un'altra volta di minacciosa luce, alle grida del Vaticano Genova e Venezia colle loro triremi furono a Lepanto, in quella che Marc'Antonio Colonna umiliava per sempre i giurati nemici della fede e del nome Cristiano. Ma viepiù splendidi volsero, quando il severo Braschi ed il mite Chiaromonte deboli ed inermi seppero resistere e vincere il vincitore di cento battaglie il fiero Corso, avanti a cui tremavano i più potenti Monarchi.
Oh! secoli trascorsi, oh! memorie di antichi e nuovi tempi come dolce suscitate la speme nel giovine mio cuore, a cui lieti arridono mille dorati fantasmi! Oh! Italia, oh! Papato, prime fonti del bene, della gloria, del genio io vi saluto, ed il mio saluto è quello, che si ripercuote in ogni petto Italiano, e vi risveglia i più cari conforti, le più nobili idee.
Anime sdegnose, che sospirate dietro le classiche reminescenze della gentilità, cessate i lamenti. No, l'Italia non cessò di essere il centro nel quale si appuntano gli sguardi, d'onde si svolge la vita dei popoli, poiché ha abbracciato la follia della croce. Che anzi rivestissi di più nobile manto, comparve bella di nuova e divina bellezza: non è solamente donna di provincia, è madre delle nazioni, che fa sorgere intorno a sé ricche di virtù, di genio, di gagliardia...
Popoli, che nel mondo moderno levate gran fama di voi, che la patria nostra guardate spesso col ghigno beffardo del disprezzo, deh! almeno questo non vi cada di mente, che voi, o non eravate ancora, od eravate compassionevoli per errori e superstizioni, contaminati da vizii, di costumi selvaggi, l'Italia papale già adulta, vi concepiva spiritualmente, vi generava a Dio ed alla civiltà, mandava infranti i vostri idoli, rovesciava le are fumanti d'umano sangue, intorno alle quali compivate riti nefandi...
Sì, tutte le virtù che fanno caro l'uomo privato, che adornano il cittadino sono altrettanti fiori che crescono, grazie al Papa, nella fortunata Ausonia terra. Tutte le opere che la pietà ed il senno cristiano ideò per difendere la Chiesa, coltivare le scienze, erudire la gioventù, consolar la sventura sono piante che non giungono a giusta altezza, non recano i loro frutti, se non nella terra d'onde sorge l'Apostolico Seggio non abbian gittate le loro radici...
Oh! Augusto Pontefice Romano, oh! Magnanimo Leone: come Cattolico io metto davanti a Voi nella polvere la mia fronte, e co' miei fratelli di tutto l'Orbe Vi proclamo e Vi venero Pastor Supremo, Padre dell'anima mia, Maestro infallibile della mia fede; ma come Italiano sento che ho cagione d'esultanza che io non posso dividere con altri, che non siano figli di questa cara patria. Voi siete il lume della mia Nazione, la gloria del mio paese, l'orgoglio della mia gente, alla quale Iddio affidò da custodire il Vostro trono immortale.

Guido M. Conforti - Seminarista